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Piera Serra: L'identità del giudice onorario nelle circolari del CSM. Intervento del 17 marzo 2002

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L'identità del giudice onorario minorile nelle circolari del Consiglio Superiore della Magistratura di Piera Serra

Nel momento in cui il giudice onorario minorile pare dover uscire di scena per far posto al consulente tecnico del giudice, mi pare utile porre a disposizione di chi è interessato alla questione una breve sintesi dell'evoluzione dell'identità del giudice onorario minorile nei settant'anni della sua storia e una categorizzazione delle sue attuali competenze.

Come si vedrà, non si tratta di una difesa dell'esistente -difesa che suonerebbe quanto meno fuori tempo- ma di un contributo alla chiarezza dei termini del dibattito in corso. Nei paragrafi primo e secondo esamino l'estensione delle competenze degli onorari. Nel terzo paragrafo focalizzo il tema dell'autonomia del giudice onorario: si tratta di un problema che riguarda anche, sia pure in modo diverso, il consulente tecnico del giudice e che pertanto esige una rinnovata attenzione. Nell'ultimo paragrafo evidenzio la funzione che, nel tempo, il giudice onorario è venuto assumendo di "interfaccia" tra il mondo giudiziario e quello delle professioni cliniche. Premessa Come è noto, la figura del giudice minorile onorario venne fondata nel nostro diritto contestualmente all'istituzione dei tribunali per i minorenni . Ciò che caratterizza fin da subito il giudice onorario, distinguendolo nettamente dal giudice popolare della corte d'assise, è che, pur essendo la sua funzione gratuita, viene scelto in quanto portatore di una specifica competenza, congrua con la specializzazione del tribunale per i minorenni. Come infatti anche spiega la circolare del Consiglio Superiore della Magistratura del 25 febbraio 1998 (criteri di selezione e nomina dei giudici onorari minorili, per il triennio 1999-2001) il quesito se il giudice onorario minorile “debba ricondursi alla previsione del 2° ovvero del 3° comma dell’art. 102 Cost. sembra, a questa stregua, doversi risolvere senz’altro nel primo senso: il giudice onorario minorile esprime non tanto una forma di ‘partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia’, quanto una situazione di collaborazione con la magistratura da parte di un ‘cittadino idoneo’ per le sue particolari competenze”. Il ruolo del giudice onorario minorile rappresenta quindi una sintesi di una istanza giudicante con gli stessi poteri del giudice togato e di una figura professionale non giudiziaria, estranea alla magistratura. Fin da subito, inoltre, il legislatore precisa che la sua competenza è da intendersi come l’esito di due componenti: scienza ed esperienza; infatti, se l’essere cultore di una delle discipline indicate significa possederla, l’essere “benemerito dell’assistenza sociale” significa aver alle spalle una concreta positiva operatività: “La ‘benemerenza’, dal canto suo, – spiega la sopra citata circolare del CSM - alla luce dell’evoluzione del linguaggio e della cultura, sembra aver assunto, da un lato, il significato di una particolare sensibilità e attenzione ai problemi dell’infanzia e dell’età evolutiva, e dall’altro lato il valore di una concreta traduzione di tale sensibilità in attività concrete e continuative […] L’integrazione dei due requisiti di legge (“benemerito” e “cultore”) porta altresì ad esigere che la competenza scientifica, per quanto elevata, deve essere integrata da una esperienza concreta già maturata, e non da acquisirsi attraverso la pratica giudiziaria […]”. Anche le modificazioni introdotte dalla l. 27 dicembre 1956 n. 1441 per quanto riguarda la scelta dei componenti privati (l’esclusione dei cittadini al di sotto dei trent’anni e l’appartenenza ai due generi, maschile e femminile) sembrano tradurre la preoccupazione del legislatore di immettere nell’amministrazione della giustizia minorile un patrimonio di esperienza non solo professionale, ma anche esistenziale ampia e differenziata . L'identità dell’onorario Il Consiglio Superiore della Magistratura ha in più occasioni chiarito le funzioni dell’onorario nel collegio. Con la delibera del 17 giugno 1998 (impiego in attività istruttorie dei componenti privati dei tribunali per i minorenni), par. 2.2., viene stabilito che “i cittadini idonei estranei alla magistratura, chiamati, a norma dell’art. 102, 2° comma, Cost., ad integrare la composizione degli organi giudiziari specializzati non si limitano ad assistere i giudici togati nella decisione, fornendo un apporto tecnico analogo a quello di un perito o di un consulente tecnico d’ufficio, ma, come ha osservato lo stesso CSM, entrano a far parte del collegio giudicante con pienezza di poteri, distinguendosi dai giudici togati soltanto per status" . Per quanto riguarda l’attribuzione agli onorari di funzioni monocratiche, il CSM con circolare del 12 ottobre 1984 (impiego e retribuzione dei componenti privati presso gli uffici giudiziari minorili) ammette "l'impiego dei componenti privati in attività istruttoria, per oggetto, fini e cognizioni, congrue alla loro specifica preparazione professionale, spettando al Presidente del Tribunale o del Collegio, individuare tale congruità caso per caso, sia pure nel rispetto dei criteri necessari a non violare la regola del giudice naturale". La delibera CSM del 12 luglio 1990 al par. 1 sostiene invece, in contrasto con la precedente, che “di regola, le funzioni di relatore o di istruttore debbono essere affidate ai magistrati togati dell’ufficio, e non anche ai componenti privati”. Un anno dopo, il CSM, con la delibera del 23 ottobre 1991, al par. c disattende la tesi della delibera precedente ribadendo i principi affermati nel 1984: “gli artt. 738 c.p.c., 10 l. 1984 del 1982 e 25 del r.d.l. 20 luglio 1934 n. 1404, costituiscono il fondamento normativo del principio che, in materia civile ed amministrativa, quando non è imposta la collegialità in tutte le fasi del procedimento, è possibile utilizzare in funzioni monocratiche istruttorie in senso lato anche i componenti privati”. La delibera CSM del 20 maggio 1998, dopo aver premesso, al par. I-5b, che “il possesso di qualificazioni ed esperienze scientifiche extragiuridiche è indispensabile non solo nella fase finale della decisione, ma anche nell’attività preparatoria di acquisizione delle necessarie informazioni”, al par. I-11 precisa ulteriormente: “l’utilizzazione dei componenti privati degli uffici minorili nel settore civile può avvenire (così come per i magistrati togati) secondo due direttrici: o a seguito della designazione e relatore della pratica; o sulla base del provvedimento con cui il collegio designa uno dei suoi componenti per l’assunzione delle prove ammesse dallo stesso collegio. Nel primo caso la designazione va fatta dal Presidente del Tribunale (non quindi dal Presidente del collegio o da un giudice togato …), il quale ovviamente terrà conto tanto delle caratteristiche della questione da trattare quanto delle competenze specifiche e dell’attitudine del componente privato. Tale designazione…dovrà rispettare i criteri generali e predeterminati propri del regime tabellare…”. La delibera del 17 giugno 1998 al par. II 2.1 così riassume e interpreta le delibere precedenti: "Con riferimento alle procedure di adozione ed affidamento,…è possibile utilizzare in funzioni monocratiche istruttorie in senso lato anche i componenti privati…Quanto ai procedimenti che si svolgono con rito camerale, il Consiglio si è invece avvalso dei risultati interpretativi cui è pervenuta la giurisprudenza di legittimità …, per concludere che, mentre nei procedimenti aventi ad oggetto diritti soggettivi dev'essere assicurata una piena collegialità, con la conseguente possibilità di delegare ai componenti privati soltanto l'assunzione delle prove ammesse dal collegio, negli altri si giustifica un'utilizzazione più ampia dei componenti privati, e quindi anche la nomina a relatore della pratica, abilitato a disporre autonomamente accertamenti istruttori". La stessa delibera al par. 2.2. prevede che non si può escludere la possibilità di affidare ai giudici onorari non solo la relazione in camera di consiglio, ma anche la redazione dei provvedimenti collegiali "soprattutto laddove la decisione implichi l'esame di questioni che non presentano particolare complessità sotto il profilo giuridico, e richieda invece valutazioni di carattere tecnico ascrivibili alla specifica cultura del componente privato". Per quanto riguarda il settore penale, con la delibera del 23 ottobre 1991, par. c, il CSM chiarisce che “…nel caso in cui in materia penale sono previste funzioni monocratiche, queste debbano essere svolte dal giudice togato”. Con la delibera del 20 maggio 1998 par. I-2, il CSM spiega che uno specifico contributo degli onorari può aversi nelle fasi rimesse alla competenza del collegio: "il comma 4° dell'art. 27 del D. Lgs. 28.7.1989 n. 272 prevede che 'ad altro componente del collegio' (e quindi anche ad uno dei suoi componenti 'onorari') può essere delegato il controllo della fase relativa alla messa alla prova del minore, durante la sospensione del processo”. L’autonomia dell’onorario L'autonomia del giudice onorario non è stata uno dei temi oggetto di dibattiti allargati. Vale quindi la pena di evidenziare alcune differenze rispetto a quanto è stabilito da un lato per i togati, dall'altro per i popolari: • Procedure concorsuali: i giudici onorari sono nominati dal CSM in seguito alla trasmissione da parte del Presidente del tribunale di una graduatoria tra gli aspiranti che hanno fatto domanda, graduatoria basata, precisa la circolare CSM del 25 febbraio 1998, al par. 4c, sul criterio di "acquisire, attraverso il progressivo rinnovamento degli organici, sensibilità e competenze nuove", e formulata anche in base alle osservazioni emerse in un'apposita riunione del Presidente con il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale, i giudici togati del Tribunale medesimo e due giudici onorari estratti a sorte tra quelli in scadenza (vedi la stessa circolare al par. 4.1); il numero degli onorari da nominare è previsto in tre per ogni togato -circolare CSM del 25 febbraio 1998, par. 6-, ma è "generalmente ben superiore" -delibera CSM 20 maggio 1998, par. I-11. • Durata dell'incarico: la sopra citata circolare al par. 4a-b-c stabilisce che dopo i primi tre anni previsti dalla legge il rinnovo dell’incarico debba essere limitato a un secondo triennio, decorso il quale i giudici onorari possono essere riconfermati solo previo giudizio di comparazione con i nuovi aspiranti. Dopo il terzo triennio "l'incarico non potrà essere rinnovato, salvo il ricorrere di circostanze eccezionali dipendenti o dalla indisponibilità di nuovi aspiranti o dalla peculiarissima competenza acquisita dal magistrato onorario"; • Assegnazione delle funzioni: non c’è graduatoria; per quanto riguarda i criteri, vedi il paragrafo precedente; • Indennità: gli onorari ricevono un'indennità giornaliera nei giorni di effettiva presenza in tribunale pari a quella spettante ai giudici popolari della Corte d'Assise che, al momento in cui scrivo, è di 51,65 euro, ridotta alla metà per coloro che sono pensionati o dipendenti da pubbliche amministrazioni in permesso retribuito (d.l. 28 luglio 1989 n. 273, art. 12). La delibera CSM 20 maggio 1998, par. I-11, stabilisce un minimo di due presenze settimanali e un massimo di tre per ciascun giudice onorario, per rispettare i "principi della trasparenza nell'organizzazione del lavoro dell'ufficio e delle pari dignità dei suoi componenti": questi limiti minimo e massimo non risultano essere inderogabili; • Incompatibilità: la delibera CSM 11 marzo 1971 chiarisce la non applicabilità degli artt. 18 e 19 ord. giud.. Tuttavia, tale indicazione è in parte corretta dalla delibera CSM 12 luglio 1973 là dove viene stabilita l’incompatibilità con l'ufficio di consigliere o assessore comunale, provinciale o regionale, nonché dalla circolare CSM del 25 febbraio 1998, par. 3.8: "Sembra quindi opportuno che i presidenti del tribunale debbano segnalare tutte quelle situazioni che - ove sussistessero in capo a magistrati - darebbero luogo a possibili profili di incompatibilità ai sensi degli artt. 18 e 19 ord. giud., onde consentire a questo Consiglio di valutare l'opportunità della nomina … dovrà essere segnalata altresì la qualità di professionista iscritto negli albi dei consulenti tecnici del tribunale…". Inoltre, nella stessa circolare si offrono indicazioni per gli onorari svolgenti la professione di avvocato e, al par. 3.7, si stabilisce l'estensione agli onorari delle incompatibilità previste dall'art.16 co. 1° ord. giud. "limitatamente a quelle derivanti dall'esercizio di funzioni giudiziarie", escludendo, in linea generale, l'applicazione per gli onorari delle incompatibilità derivanti da attività private, nonché da un pubblico impiego, "semprechè" - si precisa citando la circolare CSM del 16 febbraio 1995 p. 6 - "le esigenze del medesimo non siano incompatibili con le disponibilità di tempo e di impegno richieste dall'incarico onorifico, e semprechè lo specifico impiego non contrasti con la necessaria terzietà del giudice… Nei casi di incertezza quanto alla disponibilità di tempo deve essere acquisita una dichiarazione di disponibilità dell'aspirante e dell'Amministrazione di appartenenza". Su questo punto (la discrezionalità dell'Amministrazione nel concedere i permessi) è significativo il parere dell'Ufficio studi e documentazione del 2 luglio 1996: dopo aver ammesso che "questo oggettivo condizionamento circa la facoltà di assentarsi dal servizio può essere anche esaminato sotto il profilo di lesione all'indipendenza del giudice: nel senso che il permesso o l'autorizzazione potrebbero essere concessi o negati in base a valutazioni estranee ad una vera e propria esigenza di servizio e quindi finire per condizionare in concreto l'attività giurisdizionale del magistrato onorario." (p. 13), deve concludere che, poiché l'incarico di magistrato onorario ha natura facoltativa e su specifica richiesta dell'interessato a differenza di quello di giudice popolare che è invece obbligatorio, "in mancanza di normativa di ordinamento giudiziario e speciale analoga a quella esistente per i giudici popolari, la disciplina delle assenze dal servizio deve essere ricavata dalle disposizioni che regolano il rapporto di pubblico impiego…" (pp. 14-15) spettando "al dirigente responsabile dell'Ufficio Giudiziario, di cui i magistrati onorari sono chiamati a far parte, organizzare il loro lavoro nelle modalità più efficaci ed idonee in relazione alla situazione ed orari lavorativi di ciascuno di essi (segnalando eventualmente al CSM quelle situazioni che rendano incompatibile la prosecuzione della funzione di giudice onorario)." (p. 17); • Rimozione: non so se siano mai avvenute revoche ufficiali di un giudice onorario minorile. Comunque, il CSM nella circolare del 25 febbraio 1998, par. 7, richiamandosi al d.d.l. 1742 del 1986, stabilisce che il Presidente del tribunale possa richiederla al CSM in caso di inadeguatezza del giudice onorario per “impegno, puntualità, capacità”, conformità al “prestigio della funzione giudiziaria” e che possa anche disporne la sospensione temporanea in caso di urgenza (all'onorario è garantito il diritto di vedersi contestati gli addebiti e di potersi discolpare!). Conclusione Si dice spesso che gli onorari hanno una sensibilità maggiore dei togati per quanto riguarda i problemi dei minori e che questo è la specificità del loro apporto al collegio. Nella mia esperienza, ho invece constatato nei giudici togati una sensibilità non inferiore alla nostra e una capacità di utilizzarla nel formarsi del giudizio: anche il giudice che non sia psicologo o neuropsichiatra o assistente sociale quando delibera su questioni attinenti alla persona, a meno che non consideri le emozioni un elemento di disturbo da negare o reprimere, può tener conto del proprio vissuto durante le udienze : la sua rilevazione delle emozioni, proprie e dell’interlocutore, anche se è improntata a una metodologia diversa rispetto a quella di uno psicoterapeuta , può costituire un orientamento prezioso per la comprensione dei problemi. Allora, qual è l'apporto specifico dato dalla competenza scientifica e dell'esperienza clinica dell'onorario? Forse esso è da ricercarsi su due versanti. Innanzitutto, il giudice onorario che rileva in se stesso e nell’interlocutore i segnali di un particolare stato emotivo li codifica in base alle proprie conoscenze scientifico-tecniche, trasformando quindi dati soggettivi in elementi se non oggettivi (perché l’”oggettività” delle scienze umane è posta dalla comunità scientifica in discussione), per lo meno trasmissibili a livello intersoggettivo e pertanto utilizzabili da parte dell’intero collegio al fine di meglio comprendere l'esperienza emozionale delle persone interessate ai provvedimenti al di là dei dati della loro storia e le motivazioni dei loro comportamenti . In secondo luogo, l'onorario, poiché appartiene a una professionalità clinica come quella degli operatori dei servizi, tende a svolgere la funzione di "interprete" quando occorre valutare le relazioni degli operatori o ascoltarli in udienza: può riuscire meglio a mettersi nei panni dei colleghi per decriptare i loro pareri espressi spesso in termini tecnico-ermetici a causa della necessità di non offendere la sensibilità delle persone interessate oppure mal definiti a causa dell'incertezza di certi campi di applicazione delle scienze umane; può cogliere il valore di intuizioni cliniche anche in assenza o carenza di dati scientifici oggettivi come risultanze testistiche che d'altronde, ripeto, nel caso delle scienze umane difficilmente offrono certezze; inoltre, nel caso che le valutazioni degli operatori non siano sufficientemente motivate, può vedere meglio l'area in cui può essere utile una consulenza tecnica di ufficio o anche un supplemento di istruttoria, favorendo così la dialettica tra il tribunale e i servizi. In pratica, attualmente gli onorari fungono da "interfaccia" tra le scienze umane applicate nella clinica e la giurisprudenza, favorendo il confronto dialettico immediato e continuativo sia all'interno del collegio sia nella relazione tra questo e i servizi e quindi la realizzazione, nel collegio, di una sintesi dei due saperi. Ora, in assenza di questa mediazione, se non verrà trovata una diversa soluzione, i servizi dovranno accettare di utilizzare una metodologia di rilevazione e categorizzazione dei dati di tipo forense, e perciò diversa da quella che ha come unico scopo quello clinico, affinché ogni affermazione sia dimostrata scientificamente e possa essere immediatamente utilizzata nella costruzione delle verità giudiziarie (per esempio, applicare test anche se ritenuti fonte di stress per il minore e per i familiari e inutili rispetto alle necessità cliniche). Oppure, sarà necessario far ricorso al consulente che dovrà anch'egli, come sappiamo, sottoporre il minore e i familiari a diverse sedute, nonché a rilevazioni testistiche ecc., il tutto in presenza dei consulenti di parte, senza poter addurre a propria discolpa, nel caso che la perizia risulti carente di valide e attendibili risultanze psicodiagnostiche, il fatto di aver voluto tutelare il minore dall'invasività dei metodi della psicodiagnosi. Ciò che dopo anni di esperienza ancora mi colpisce quando entro nel ruolo di giudice è il dover percepire gli stati d’animo delle persone nel momento in cui il tribunale interviene su di esse con il compito di produrre verità giudiziarie concernenti quegli stessi stati d'animo. Sento la paura del mio interlocutore di non essere capito. Sento la ferita che produce nelle persone il nostro intervento, il quale inevitabilmente tocca la sfera più intima: mentre nelle sedute terapeutiche è il cliente che, con la protezione del segreto e di tutte le altre regole del setting, mi apre un varco e mi fa strada fin nel suo intimo, nelle udienze giudiziarie l'accesso alla sfera intima è l'esito di uno sfondamento dei suoi limiti compiuto d'autorità: il mio desiderio, ogni volta, è che il nostro intervento cessi al più presto per consentire alla ferita, leggera o profonda che essa sia, di rimarginarsi. L'onorario, con tutti i suoi difetti, è stato fino ad ora utile per ridurre al minimo gli esiti indesiderati del dover porre il minore e la sua famiglia nella posizione di oggetto di indagine. Ha forse anche contribuito a ridurre la inevitabile discontinuità della comunicazione fra tribunale e operatori e a renderla pertanto più adeguata alle situazioni in costante evoluzione su cui si interviene. Non vorrei che ora la legittima aspirazione a sentenze basate su dati certi ed ostensibili alle parti conducesse alla sopravvalutazione della "verità" che esita dall'applicazione delle tecniche della psicodiagnosi.