È opinione diffusa che nel concetto di giustizia minorile, in senso ampio, rientrano tutte le materie in relazione alle quali il giudice è chiamato a decidere in ordine a situazioni che coinvolgono o comunque incidono sui diritti del minore e quindi sul suo interesse ad una crescita equilibrata in un ambiente relazionale affettivamente ed educativamente valido.
Nell’ambito di questo concetto di carattere generale, la diaspora delle competenze è oggi massima e non sorretta da alcun criterio di razionalità e coerenza: nel complesso degli interventi civili relativi ai minori sono previste 55 tipologie di interventi attribuite al tribunale per i minorenni, 29 al giudice unico di prima istanza, in composizione monocratica o collegiale, 48 al giudice tutelare istituito presso lo stesso giudice unico.
L’esigenza primaria, risalente nel tempo, è quindi quella di razionalizzare il sistema e questa esigenza può essere soddisfatta solo con un intervento di modificazione pressoché totale del sistema esistente sia a livello ordinamentale che procedurale; un intervento attento ai problemi reali, coerente con i principi costituzionali, che tenga conto dello sviluppo culturale ed anche giuridico che si è avuto, nella materia minorile e familiare, negli ultimi quarant’anni.
Il progetto del Governo non soddisfa questa esigenza.
1. La competenza civile.
Il progetto governativo realizza un accorpamento delle competenze in quanto attribuisce ad un solo organo giudiziario le competenze civili in materia di minori e di famiglia; però non unifica in un solo organo giudiziario tutte le competenze in materia di minori, in quanto mantiene ferma la competenza penale degli attuali tribunali per i minorenni e quindi in sostanza crea un terzo organo giurisdizionale; per cui in futuro esisteranno il tribunale per i minorenni competente per tutti i reati commessi dai minori, la sezione specializzata del giudice unico di primo grado competente per le materie civili relative ai minori ed ai rapporti di famiglia, il giudice ordinario competente per tutte le altre materie civili e penali.
Così si rischia di aumentare la confusione e le disfunzioni gia oggi esistenti.
Si deve tenere presente che tra le diverse competenze, civile, penale ed amministrativa, del Tribunale per i minorenni è stato sempre necessario un contatto, un’osmosi irrealizzabili tra organi giudiziari distinti e separati.
Nella giustizia minorile il penale e il civile sono, in molti casi, inscindibili ed ogni soluzione di segno contrario rischia di ricondurre l’intervento penale alle sue caratteristiche meramente punitive e repressive, così rendendo l’intervento stesso improprio ed incompleto perché la sola punizione non è sufficiente quando si interviene nei confronti di soggetti la cui personalità è in evoluzione.
Solo se le due competenze si sommano in un unico organo giudiziario è possibile completare con provvedimenti civili di sostegno per il minore l’intervento penale, per sua natura più rigido nonostante i particolari benefici previsti per i minori che commettono reati.
Se si vuole veramente ottenere una razionalizzazione del sistema, l’unica e più logica possibilità è quella di prevedere l’abolizione dei tribunali per i minorenni e la creazione di un organo unico di primo grado a composizione mista, competente per tutte le questioni di diritto minorile, personale e familiare e quindi per la cause di separazione, divorzio, annullamento del matrimonio, per le altre questioni di diritto di famiglia e delle persone oggi di competenza del tribunale ordinario, per tutte le questioni di diritto familiare e minorile oggi di competenza del tribunale per i minorenni, nonché per tutti i reati commessi da soggetti in età minore. Ed è ovvio che si dovrà stabilire in quali ipotesi sia possibile attribuire il potere di decidere al giudice monocratico, togato, non essendo necessario l’intervento del collegio a composizione mista.
In subordine si potrebbe prevedere l’ abolizione dei tribunali per i minorenni e la creazione presso il giudice unico di prima istanza di una sezione specializzata a composizione mista e con competenza esclusiva nelle medesime materie.
Le due ipotesi non sono totalmente equivalenti; anche ove si prescinda dalle differenze di natura pratica ed economica e dalle difficoltà che ne conseguono, maggiori nella seconda ipotesi perché la prima consentirebbe, ad esempio, di utilizzare le sedi degli attuali tribunali per i minorenni, si deve considerare che un organo giudiziario distinto, con un proprio organico anche di cancelleria (organico che sarebbe, anche nelle sedi più grandi, molto ridotto rispetto a quello dei tribunali ordinari) ed una propria dirigenza è un organo più agile, più veloce nella decisioni, come la pratica dimostra, in una materia in cui il ritardo incide pesantemente sulla vita delle persone e particolarmente dei minori.
È addirittura pleonastico precisare che non si potrebbe confutare la prima ipotesi sostenendo che si tratterebbe di un giudice speciale la cui istituzione è vietata dall’art. 102 della Costituzione che prevede solo sezioni specializzate degli organi giudiziari ordinari; questo è un discorso vecchio, molto datato e mai più riproposto dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 76 del 30 dicembre 1961, con la quale la Corte ha precisato che gli organi giudiziari specializzati si distinguono dai giudici speciali non per il nome e per elementi formali ed esteriori, bensì per i loro caratteri funzionali e strutturali ed in particolare per il nesso organico di compenetrazione istituzionale con la struttura giudiziaria ordinaria; come è appunto per l’attuale tribunale per i minorenni e come sarebbe per l’eventuale nuovo organo di cui alla prima delle ipotesi sopra indicate; la Corte Costituzionale, con sentenza 20 dicembre 1962 n. 108, ha anche riconosciuto la piena costituzionalità degli organi giudiziari specializzati a composizione mista.
Certo la questione familiare e minorile è questione di grande impatto emotivo che investe sia la sfera delle private convinzioni sia quella dell’interesse pubblico e sollecita preoccupazioni ma anche paure insondabili; ed è questione in ordine alla quale troppi temi convergenti rendono difficile il discorso; però è questione che deve e può essere risolta, data l’esigenza primaria di razionalizzazione del sistema; anche perché essa risente molto dell’evocazione di fantasmi presenti nell’immaginario di questo o quell’interlocutore, di questa o quella categoria professionale, risente molto dell’emotività fondata su notizie sempre incomplete e a volte falsate, e tutto ciò non ha nulla da spartire con una seria attività di politica giudiziaria.
2) L’esclusività delle funzioni.
Il progetto governativo non prevede l’esclusività delle funzioni dei giudici assegnati alle sezioni specializzate.
Prevede invece che ai giudici delle sezioni specializzate possono essere devoluti anche altri affari civili purché ciò non comporti ritardo nella trattazione delle controversie specificamente attribuite alle sezioni stesse; ma questa è una formula di stile, talmente vaga da potere facilmente rimanere sulla carta; e tale rimarrà: è previsione facile e difficilmente contestabile che l’esclusività delle funzioni non potrà essere attuata per materiale impossibilità, in uffici che hanno già notevoli pendenze civili, nei quali i giudici, già oberati da un notevole carico di lavoro al quale difficilmente riescono a far fronte in tempo utile, non potranno far fronte seriamente all’ulteriore notevole carico sopravvenuto, per trasferimento, dai tribunali per i minorenni; la situazione del civile, già oggi ai limiti dell’intollerabilità, diventerà ingestibile.
Solo negli uffici più grandi sarà forse possibile destinare alcuni giudici alle funzioni in materia di minori e di famiglia con carattere di esclusività, in tutti gli altri ciò non sarà possibile per carenza di organico (come avviene nelle corti d’appello di piccole e medie dimensioni); e ciò determinerà un ulteriore ritorno all’indietro alla situazione anteriore al 1971 (anno di istituzione degli organici autonomi dei tribunali per i minorenni); con la conseguenza che i giudici, nell’ambito di un carico di lavoro aumentato per il trasferimento delle competenze civili minorili, inevitabilmente privilegeranno la materia civile ordinaria perché più conosciuta, più asettica, più adatta ad un lavoro da tavolino, meno emotivamente coinvolgente.
3) La composizione mista dei collegi.
Non si capisce bene quale sia il motivo che ha indotto a mantenere la composizione mista dei collegi (due giudici togati e un giudice onorario) in sede penale, mentre in sede civile la componente onoraria scompare.
L’unica possibilità è quella di pensare che in materia penale si è ritenuto necessario l’apporto, in sede di decisione, di un soggetto specializzato in discipline diverse da quella giuridica, al fine di una decisione più rispondente alla situazione reale ed all’interesse del minore; mentre questo apporto è stato ritenuto inutile in sede civile; con la conseguenza che il minore che delinque è, in qualche modo, più tutelato del minore vittima di abusi intrafamiliari anche molto gravi.
Eliminando la componente onoraria dai collegi civili si verificherebbe un riflusso verso una visione esclusivamente privatistica del diritto minorile; si favorirebbe il ritorno all’idea, già esistente nella coscienza sociale, secondo la quale esiste non tanto il minore, come autonomo soggetto di diritto, ma il figlio per cui i problemi vanno risolti prevalentemente secondo la volontà e le prospettazioni degli adulti.
E ciò in contrasto con i principi costituzionali.
Gli artt. 2 e 3 della Costituzione attribuiscono valore primario alla personalità individuale e quindi all’esigenza di tutela della dignità e dell’autonomia della persona; il riconoscimento della famiglia operato dall’art. 29 comma I Cost. va pertanto inteso nel senso che la famiglia, in quanto formazione sociale, in quanto entità superindividuale e quindi valore impersonale, va tutelata principalmente come elemento di protezione e di sviluppo del soggetti che la compongono e non può in alcun modo rappresentare una causa di compressione dei valori personali che, anche per suo mezzo, si sono voluti assicurare.
Ne consegue che il superiore interesse familiare e sociale all’educazione della prole, individuato implicitamente dall’art. 29 Cost., interesse la cui attuazione tutela la famiglia unitariamente in tutti i suoi componenti, è tutelato nei limiti in cui costituisce elemento di sviluppo del soggetti che la compongono, per cui può prevalere sugli interessi dei singoli soltanto se è conforme a questi interessi, soltanto se si pone come strumento di protezione della personalità individuale.
L’impegno alla protezione dell’infanzia e della gioventù (art. 31 Cost.), l’impegno all’adempimento dei compiti dei genitori (anche in via di sostituzione) nel caso di loro incapacità (art. 30 Cost.), sono coerentemente previsti al fine di favorire il pieno sviluppo del minore come persona umana (art. 3 Cost.) e di attuare i suoi diritti anche nelle formazioni sociali (quale è la famiglia, originaria o sostitutiva) in cui è inserito (art. 2 Cost.).
Questi principi costituzionali fondano le numerose disposizioni di legge che impongono di decidere "nel preminente interesse del minore": l’interesse del minore è preminente perché coincide nella sua finalizzazione con l’interesse pubblico e superindividuale alla crescita corretta, sana ed equilibrata di tutti i cittadini; e questo interesse pubblico sta o viene meno secondo che siano o non siano effettivamente tutelati i diritti del minore.
Il che spiega perché nella materia minorile e familiare in tutti i casi in cui si tratti di decidere in ordine ai diritti ed agli interesse del minore il procedimento è sottratto alla disponibilità delle parti; come è previsto in relazione agli interventi sulla potestà dei genitori (artt. 330 e segg. cod. civ.), ed in materia di separazione dei coniugi (art. 155 cod. civ.) e di divorzio (art legge divorzio) quando si debba decidere sull’affidamento dei figli.
La tutela dei diritti del minore è, nei fatti, possibile soltanto se il giudice accerta la "verità reale", non una verità limitata dalle prospettazioni delle parti adulte (come nell’ordinario rito contenzioso), e tiene conto anche della personalità dei soggetti, della dinamiche familiari, della capacità degli adulti di rendersi conto dei reali bisogni dei minori, ossia dei bisogni che devono essere soddisfatti al fine di una tutela dei loro diritti.
La tutela dei diritti dei minori è, nei fatti, possibile se il giudice è in condizione di apprezzare i rischi ed i danni che una determinata situazione familiare comporta per il minore, soltanto se è in grado di apprezzare le conseguenze dei suoi provvedimenti, e da ciò deriva che la decisione, in particolare nei casi più gravi di abuso intrafamiliare, non può essere presa sulla base soltanto di canoni giuridici; per cui è soprattutto in sede civile che è indispensabile l’apporto di conoscenze diverse da quella giuridica.
4) La specializzazione.
Il giudice chiamato a decidere in materia minorile e familiare deve avere non solo una solida preparazione che ne garantisca la specializzazione in diritto in generale ed in diritto familiare in particolare, ma anche una preparazione che gli garantisca una formazione tale da porlo in condizione di ascoltare il minore anche nel senso di rendersi conto dell’esistenza di messaggi non espressi, non verbali, di apprezzare le possibili conseguenze sia della situazione di fatto vissuta dal minore che dei diversi provvedimenti, di valutare la validità delle proposte e dei progetti dei servizi territoriali e la fondatezza delle opinioni e delle prospettazioni degli esperti di altre discipline, di stabilire una corretta comunicazione interpersonale con i soggetti interessati al processo ed in particolare con i minori.
Però la sola permanenza nell’esercizio delle funzioni minorili e familiari non assicura di necessità la formazione dei singoli; questa idea non solo è assolutamente inesatta, come la pratica dimostra, ma è anche pericolosa in quanto consente di eludere i problemi reali.
Inoltre nonostante una formazione continua ed una solida preparazione il giudice non potrà mai essere specializzato in discipline diverse dalla propria; l’ipotesi di un singolo effettivamente specializzato in più di una disciplina è fenomeno tanto raro da potersi dire inesistente ai fini che qui interessano; in conseguenza la specializzazione del singolo assicura la specializzazione dell’organo soltanto se lo svolgimento della funzione richiede la conoscenza di una sola materia (si pensi al diritto del lavoro).
Ed invece in campo minorile e familiare la specializzazione dell’organo giudiziario assume, in rapporto alla particolarità della materia, una valenza particolare.
Solo la composizione collegiale mista dell’organo e quindi la necessaria partecipazione al momento decisionale di soggetti specializzati in discipline diverse da quella giuridica determina la specializzazione dell’organo, perché nella maggior parte dei casi non è possibile decidere soltanto sulla base di canoni giuridici.
Non varrebbe obbiettare che le necessarie conoscenze possono essere desunte dal giudice togato aliunde, ad esempio a mezzo di una consulenza tecnica, non solo perché la consulenza tecnica fissa ad un momento dato la situazione del minore che invece è sempre in evoluzione, quanto perché la lettura di relazioni, consulenze, opinioni non potrà mai sostituire la dialettica della camera di consiglio, che è la sola a consentire che la decisione sia la sintesi di più conoscenze; al consulente esterno si può chiedere di valutare, apprezzare ed esporre la situazione esistente in un dato momento e le sue conseguenze, ma non si possono porre quesiti attinenti al tipo di decisione da prendere, in quanto ciò equivarrebbe a demandargli la decisione che spetta al giudice, mentre è proprio nel momento decisionale che si richiede la sintesi di più conoscenze, perché nella materia minorile a volte si deve stabilire prima il tipo di intervento che si ritiene necessario e poi ricercare la norma che lo rende possibile e perché nella maggior parte dei casi è necessario valutare le conseguenze sulla crescita psicofisica del minore delle diverse possibili decisioni, compresa quella di non intervenire.
Escludere la composizione mista dei collegi in sede civile significa ritornare alla situazione esistente anteriormente al 1956 (anno in cui venne modificata la legge istitutiva del tribunale per i minorenni), se non proprio a quella esistente prima del 1934 (anno di istituzione dei tribunale per i minorenni); comporta la volontà di fondare la decisione solo su canoni giuridici; significa tornare al concetto che il minore più che soggetto di diritti è oggetto della volontà e dei comportamenti degli adulti; significa tutelare solo le parti adulte, fondare la decisione prevalentemente sulle loro prospettazioni, essendo il minore per definizione soggetto incapace ed indifeso, e ciò in un ordinamento giuridico che considera l’interesse del minore come interesse costituzionalmente protetto, come ha più volte affermato la Corte Costituzionale.
5) I servizi sociali.
Il progetto governativo ripristina la competenza in materia civile dei servizi sociali del Dipartimento della giustizia minorile, così tornando ancora una volta indietro di circa un trentennio in quanto il D. P. R. 24 luglio 1977 n. 616 (in attuazione della delega di cui alla legge 22 luglio 1975 n. 382) ha limitato la competenza dei servizi ministeriali alla materia penale, trasferendo (artt. 22 e 23 lett. c) agli Enti locali territoriali tutte le funzioni relative "agli interventi in favore di minorenni soggetti a provvedimenti delle autorità giudiziarie minorili nell’ambito della competenza amministrativa e civile".
Nel progetto si dice che gli USSM dipendenti dal detto Dipartimento "o, in mancanza, quelli dipendenti dai Comuni" sono considerati ausiliari delle sezioni specializzate, con compiti di "assistenza all’esecuzione dei provvedimenti", "vigilanza sull’osservanza degli obblighi di fare", verifica sui rapporti familiari".
È veramente difficile stabilire cosa possa significare l’espressione "in mancanza", considerato che i servizi sociali ministeriali non possono mai essere considerati "mancanti": essi hanno competenza distrettuale e sono tenuti, quindi, svolgere i loro compiti in tutte le zone del distretto, per cui giuridicamente sono sempre esistenti.
Si avrà un progressivo cadere in desuetudine degli interventi dei servizi sociali territoriali? O si può pensare anche in questa ipotesi ad una abrogazione implicita? Oppure i diversi servizi saranno chiamati ad intervenire, o no, in base all’interpretazione, inevitabilmente diversa da zona a zona, che i singoli giudici, i singoli servizi, gli Enti locali, il Dipartimento, daranno della norma? In quest’ultimo caso chi risolverà gli inevitabili conflitti di competenza?
Comunque sia, rasenta l’incredibile il fatto che si possa con le poche righe di un articolo, si direbbe con un tratto di penna, sconvolgere un sistema ormai consolidato, senza dire nulla sul modo in cui si dovrà gestire questo sconvolgimento.
E non si può omettere di considerare che gli attuali organici dei servizi sociali ministeriali sono dimensionati sul carico di lavoro derivante dall’area penale; aggiungere un ulteriore carico di lavoro significa metterli nelle condizioni di non potere svolgere bene il loro lavoro ne in penale ne in civile.
6) Il tribunale per i minorenni come giudice penale.
Non sembra avere molto senso l’idea di continuare a prevedere l’esistenza nell’ordinamento del tribunale per i minorenni come un diverso giudice specializzato autonomo con competenza solo penale
La proposta del Governo sembra fondata sull’idea che si potranno diminuire gli organici attuali dei tribunali per i minorenni per istituire le sezioni specializzate.
Ma questo non sarà possibile.
La maggior parte dei tribunali per i minorenni, pur essendo a base distrettuale, ha un organico di piccole dimensioni (4, 5, 6 giudici togati) ed è necessario un minimo di cinque giudici per far funzionare il processo penale, secondo la proposta governativa: uno per le indagini preliminari, due per l’udienza preliminare, due per il dibattimento, e
ci si deve augurare che non venga proposta istanza di riesame avverso un’ordinanza di custodia cautelare perché in tal caso altri due giudici si troverebbero in situazione di incompatibilità per il dibattimento; diminuire il numero dei giudici in un tribunale per i minorenni con competenza solo penale significherebbe, nella maggior parte degli uffici e nella maggior parte dei procedimenti, che per celebrare il dibattimento si dovrebbe ricorrere ad un’applicazione ed a una supplenza; con quale scompenso per gli altri organi giudiziari è facile immaginare.
7) Le norme procedurali.
La proposta governativa modifica le disposizioni procedurali previste dagli artt. 706 e segg. C. P. C., relative alle ipotesi di separazione tra coniugi; nulla dice per le procedure di divorzio e per quelle relative all’adozione ed agli interventi sulla potestà dei genitori; davanti allo stesso organo giudiziario si dovranno quindi applicare norme procedurali diverse nelle diverse procedure; la confusione già oggi esistente diventerà massima, anche e soprattutto in relazione all’applicazione in via di interpretazione, nei diversi casi, degli artt. 24 e 111 Cost. che sono norme a carattere precettivo.
8) La competenza amministrativa.
Il progetto governativo non menziona la competenza amministrativa del tribunale per i minorenni e tanto meno le norme, anche recenti (art. 25/bis R. D. n. 1404/1934 introdotto con legge n. 269/1998), che la prevedono; ci si può chiedere, tenendo conto della dizione letterale della proposta, se questa omissione sia fondata sulla volontà di abrogare implicitamente tale competenza; anche perché le misure rieducative sono oggi di fatto cadute in desuetudine: solo sette tribunali per i minorenni su ventinove pronunciano provvedimenti si sensi degli artt. 25 e segg. R. D. L. 20 luglio 1934 n. 1404 e con questi provvedimenti si può disporre solo l’affidamento al servizio sociale come misura amministrativa, non esistendo più istituti rieducativi perché nessun Ente territoriale locale ha provveduto a crearne di nuovi dopo la chiusura delle case di rieducazione ministeriali.
Ne può omettersi di considerare che le misure rieducative cosi come sono oggi disciplinate dal R. D. L. n. 1404/1934 non sembrano conformi ai principi costituzionali (artt. 24 e 111 Cost.); esiste quindi l’esigenza di rivedere la materia.
Però nulla è previsto in proposito nel progetto governativo; e ciò proprio in un momento in cui torna a considerarsi la necessità di misure che valgano ad affrontare il disagio giovanile che si concretizza in comportamenti che non violano le norme penali, e di misure che valgano a sostenere i minori, e sono la maggioranza, che pur avendo commesso reati non sono stati condannati, o comunque non devono scontare la pena detentiva inflitta, per concessione dei benefici previsti dalla legge.
9) La competenza penale.
Le modificazioni che il progetto governativo prevede in relazione alla materia penale appaiono di dettaglio in quanto l’impianto complessivo del codice di procedura penale per i minorenni (D. P. R. 22 settembre 1988) resta immutato.
Però qualche osservazione si deve fare.
a) Il progetto esclude la possibilità di disporre la sospensione del processo e la messa alla prova per i delitti di omicidio, tentato o consumato, e per i delitti di cui agli artt. 609/bis, 609/ter, 609/quater, 609/octies.
L’esclusione non appare opportuna.
I delitti relativi alla sfera sessuale, nella maggior parte dei casi sono connessi alle pulsioni proprie, e tipiche, dell’adolescenza e non ad una deformazione della personalità che è ancora in evoluzione; forse si è ritenuta sufficiente l’ipotesi di non punibilità prevista dall’art. 609/quater c. p., però basta la differenza di un solo mese per escludere questa ipotesi; trattasi di delitti in relazione ai quali, compresa l’ipotesi della violenza sessuale di gruppo, si deve valutare attentamente la personalità del soggetto in rapporto all’età, le modalità e le particolarità del fatto, l’entità ed il grado di partecipazione al fatto. Togliere al giudice la possibilità di accertare l’opportunità o la necessità di disporre una messa alla prova, significa correre il rischio di ottenere, almeno in alcuni casi effetti controproducenti, anche in relazione all’interesse sociale e pubblico alla rieducazione del soggetto che delinque.
Anche per questo la Corte Costituzionale ha sempre insegnato che i minori vanno valutati singolarmente da caso a caso in relazione al fatto commesso e che le preclusioni rigide, come quella dipendente dalla sola considerazione del titolo del reato, non sono conformi ai principi costituzionali.
Questo vale anche per il delitto di omicidio, non esistendo ipotesi di fatto identiche per il variare inevitabile dei motivi, delle situazioni, delle modalità, come per tutte le azioni umane.
b) Il codice di procedura penale per i minorenni vigente prevede che il giudice ha la possibilità di imporre la misura cautelare più grave nel caso di gravi e ripetute violazioni delle prescrizioni o degli obblighi connessi alla misura cautelare in corso; il progetto elimina questa discrezionalità del giudice prevedendo che, nel caso di gravi e ripetute violazioni, la misura più grave deve essere imposta e prevede altresì che la custodia cautelare in carcere per un mese può essere disposta non solo dopo il ricovero in comunità, bensì anche come aggravamento della misura della permanenza in casa. Anche questo è un irrigidimento punitivo che non sembra giustificato dalla realtà dei fatti, in quanto il sistema attualmente in vigore non ha determinato ripercussioni, situazioni, violazioni così gravi da imporre una modificazione delle norme.
c) Il progetto governativo modifica il secondo comma dell’art. 24 della norme di attuazione del c. p. p. m. (D. L. 28 luglio 1989 n. 272) prevedendo che il giudice, anche d’ufficio, quando il soggetto interessato compie il diciottesimo anno, dispone che la misura della custodia cautelare in carcere o la pena detentiva siano scontate negli istituti per adulti, previa valutazione della personalità dell’imputato o condannato, delle esigenze del trattamento e della durata della pena da scontare; così eliminando, salvo che in casi particolari, la possibilità che il giovane rimanga negli istituti minorili. Questo significa aver dimenticato, o volutamente omesso di considerare, le acquisizioni culturali che si sono avute negli anni in relazione alla situazione ed alle problematiche dei "giovani adulti".
d) Il progetto modifica anche la norma relativa alla diminuente della minore età.
Oggi nei confronti dei soggetti di età compresa tra i quattordici e diciotto anni è previsto che, se sono riconosciuti imputabili, "la pena è diminuita"; ciò significa che la diminuente deve sempre essere calcolata, però il giudice nel diminuire la pena può spaziare tra il minimo di riduzione di un giorno ed il massimo di riduzione di un terzo; e la diminuente della minore età, quale circostanza inerente alla persona del colpevole, entra nel giudizio di prevalenza ed equivalenza come tutte le altre circostanze.
Il progetto stabilisce invece che, qualora sussista l’imputabilità, "la pena è diminuita di un quarto per i minori degli anni diciotto e di un terzo per i minori di anni sedici".
La lettera della norma è chiaramente imperativa e vincolante, ed inoltre è identica a quella contenuta nell’art. 442 c. p. p. in relazione al giudizio abbreviato, in ordine alla quale la giurisprudenza è consolidata.
Si deve in conseguenza ritenere che la diminuente della minore età cessa di essere una circostanza e diventa una riduzione obbligatoria e quantitativamente non modificabile, che va applicata dopo che si è determinata la pena tenendo conto di tutte le circostanze.
Questa conseguenza è molto forte e non potrà non avere riflessi, sia positivi che negativi, in sede di applicazione pratica.
La disposizione in parola è l’unica più favorevole al minore imputato in un complesso di norme che si caratterizza per una maggiore rigidità in senso repressivo e punitivo.
e) Ma è proprio questa maggiore rigidità repressiva che non appare giustificata alla luce delle attuali conoscenze.
Non è vero che la delinquenza minorile sia in aumento, questa affermazione può essere fatta solo sul fondamento dell’emotività suscitata da alcuni fatti di notevole gravità che però sono per fortuna in numero molto limitato.
I grafici delle statistiche relative alla delinquenza minorile evidenziano una linea sostanzialmente piatta, con lievi variazioni in aumento o in diminuzione di anno in anno; e si può dire che il fenomeno sia in declino almeno per quanto riguarda i minori italiani, tenendo conto del fatto che sul totale del fenomeno stesso incide per circa un quarto la delinquenza di minori provenienti dall’estero
Non esiste, quindi, la necessità di un inasprimento sia pur minimo in senso repressivo; il tasso italiano di criminalità minorile (minori denunciati per mille abitanti della stessa età) si colloca intorno al 4/4,5 per cento e fa dell’Italia una nazione favorita rispetto ad altre nazioni europee, come Francia, Germania, Inghilterra.
Angelo Vaccaro Pres. T. M. PZ