IL REGOLAMENTO (CE) n. 2201/2003 DEL CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA
di Luigi Fadiga
Nel quadro di un progressivo ampliamento della cooperazione giudiziaria in materia civile, il 29 maggio 2000 il Consiglio dell’Unione Europea approvava il Regolamento (CE) n.1347/2000, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di potestà dei genitori sui figli di entrambi i coniugi.
Come si comprende dall’intitolazione, esso riguardava fondamentalmente i casi di scioglimento del matrimonio e, in caso di figli comuni, i conseguenti provvedimenti sull’affidamento e sul cosiddetto diritto di visita. Ne restavano quindi escluse tutte le questioni estranee alla materia matrimoniale, vale a dire le decisioni sull’affidamento di figli naturali (e dunque la materia della famiglia di fatto), e quelle concernenti la decadenza e la limitazione della potestà genitoriale, attribuite in Italia ai tribunali per i minorenni. Provvedimento normativo di grande importanza, il Regolamento (CE) 1347/2000 veniva subito salutato come la prima pietra di un diritto europeo delle relazioni familiari. Di immediata applicabilità per tutti gli Stati dell’Unione Europea, esso entrò in vigore il 1° marzo 2002.
A distanza di nemmeno due anni, il 27 novembre 2003, il Consiglio dell’Unione Europea ha approvato un nuovo strumento normativo comunitario: il Regolamento n. 2201/2203 relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che è entrato in vigore il 1° agosto 2004 ed è pienamente applicabile dal 1° marzo 2005. Viene conseguentemente sostituito ed abrogato a far tempo da quella data il Regolamento (CE) n. 1347/2000.
Non può sfuggire la brevità del tempo che intercorre fra le due normative comunitarie. Dal 29 maggio 2000 al 27 novembre 2003 ci sono appena tre anni e mezzo, vale a dire un periodo di vita estremamente ridotto per qualunque atto normativo, tanto più se di livello internazionale. E se è vero che il Regolamento 1347/2000 riprendeva ampiamente la Convenzione di Bruxelles del 28 maggio 1998 avente il medesimo oggetto, è pur vero che solitamente, nella materia del diritto di famiglia e specialmente in Italia, la vita media delle leggi è ben più lunga, e ben più difficile risulta modificarle e adeguarle al mutato costume. Perché proprio questo sembra essere il motivo alla base di un così veloce cambiamento della normativa comunitaria, che disciplina ormai con un unico Regolamento la competenza il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni sulla responsabilità genitoriale, indipendentemente da qualsiasi nesso con un procedimento matrimoniale.
Tradizionalmente, il problema dell’affidamento del figlio all’uno o all’altro dei genitori è stato considerato e studiato dal diritto di famiglia nell’ambito della frattura della famiglia coniugale, e quindi come conseguenza di quella frattura e come corollario della decisione di separazione o di divorzio. Questo approccio, fatto proprio anche dal Regolamento 1347/2000, è probabilmente dovuto a una serie di fattori. La famiglia coniugale è stata a lungo la realtà sociale assolutamente prevalente, cosicché il bisogno di regolare i conflitti tra genitori al fuori di quella realtà non era sufficientemente avvertito. Inoltre, non va trascurato il peso che ha avuto per lungo tempo una concezione del figlio non come autonomo soggetto di diritti, ma quasi come una proprietà dei genitori: tanto da apparire ovvio, in caso di loro separazione, provvedere alla divisione di tutti i loro averi, ivi compreso il “bene figli”.
I profondi mutamenti dei modelli familiari sopravvenuti in questi anni, e la tendenza parallela ad ampliare sempre più il campo dei diritti del minore (e tra questi il diritto all’ascolto), hanno mostrato che l’approccio tradizionale è ormai troppo riduttivo e limitante. In primo luogo, la famiglia coniugale, benché ancora largamente prevalente, non è più il modello familiare esclusivo ma è affiancato in maniera ormai consistente da altri modelli, quali le convivenze non matrimoniali e le famiglie ricostituite. In secondo luogo, e anche come conseguenza di quel fenomeno, è più fortemente sentita l’esigenza di garantire parità di condizioni a tutti i minori coinvolti nella separazione dei genitori, anche al di fuori di una decisone di scioglimento del matrimonio. Infine, occorre notare che i provvedimenti relativi ai figli e la conseguente compressione della potestà genitoriale possono essere presi dal giudice anche al di fuori delle situazioni di frattura di coppia, si tratti o meno di coppia coniugale. E’ quel che accade quando i genitori o uno solo di essi violano o trascurano, con pregiudizio dei figli, i doveri inerenti alla potestà, o abusano dei relativi poteri. Si rende necessario allora intervenire a protezione del minore, anche con provvedimenti urgenti.
In questi casi vi sono ordinamenti nazionali che attribuiscono la competenza a giudici specializzati, diversi da quelli che si occupano di separazione e divorzio. E’ il caso dell’Italia, dove i provvedimenti relativi alla potestà dei genitori appartengono alla competenza funzionale del tribunale per i minorenni. Quest’ultimo per di più è competente anche in materia di affidamento del figlio ai genitori naturali (e quindi in caso di frattura della coppia non coniugata), nonché – in base alla legge nr. 64/1994 – in materia di ripristino dell’affidamento in caso di sottrazione internazionale del minore, si tratti o meno di figlio legittimo o naturale.
Su tutta questa materia interviene ora il nuovissimo Regolamento Comunitario 2201/2003, comando una lacuna sempre più avvertita e ponendo d’altra parte all’interprete italiano delicati problemi di coordinamento. Vediamo in estrema sintesi di cosa si tratta.
L’ambito di applicazione del Regolamento è definito nell’art. 1, secondo il quale esso si applica alle materie civili relative al divorzio alla separazione e all’annullamento, e a quelle relative “all’attribuzione, all’esercizio, alla delega, alla revoca totale o parziale della responsabilità genitoriale”. La nozione di responsabilità genitoriale è chiarita nell’art. 2: essa comprende “i diritti e i doveri di cui è investita una persona fisica o giuridica in virtù di una decisione giudiziaria, della legge, o di un accordo”, e comprende in particolare il diritto di affidamento e il diritto di visita. Lo stesso articolo definisce il trasferimento illecito e il mancato ritorno del minore, mutuandone la nozione dalla Convenzione de L’Aja del 25 ottobre 1980 sugli effetti civili della sottrazione internazionale dei minori. E’ importante notare che il Regolamento è destinato a prevalere sulla Convenzione europea del 20 maggio 1980 di analogo oggetto e su altre convenzioni anteriori, ivi compresa la Convenzione de L’Aja del 1961 (cfr. art. 60). La Convenzione de L’Aja del 1980 continuerà ad essere applicabile tra i paesi dell’Unione Europea, ma solo se il minore sarà stato ascoltato durante il procedimento (cfr. art. 11).
In tutte queste materie, in base alla disposizione contenuta nell’art. 21, “le decisioni pronunciate in uno Stato membro sono riconosciute negli altri Stati membri senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento. Sono tuttavia previsti (art.23) alcuni casi in cui le decisioni relative alla responsabilità genitoriale non vengono riconosciute. I più significativi sono i seguenti: a) quando, tenuto conto dell’interesse superiore del minore, il riconoscimento è manifestamente contrario all’ordine pubblico; b) quando (salvi i casi di urgenza) la decisione è stata presa senza che il minore abbia avuto la possibilità di essere ascoltato; c) quando è stata presa con violazione dei diritti del contraddittorio; d) su richiesta del genitore che non ha avuto la possibilità di essere ascoltato e che considera la decisione lesiva della sua responsabilità genitoriale. In nessun caso la decisione del giudice dell’altro Stato può formare oggetto di un riesame nel merito (art. 26).
L’art. 28 tratta dell’esecuzione delle decisioni relative all’esercizio della responsabilità genitoriale, e stabilisce che sono eseguite dopo essere state dichiarate esecutive a richiesta dell’interessato.
Va rilevato che nuova disciplina si applicherà anche alle decisioni in materia di affidamento familiare e a quelle che dispongono il collocamento del minore in strutture assistenziali (case famiglia, comunità, ecc.). L’ipotesi è contemplata nel comma 2 lettera c) dell’art. 1. Si tratta di decisioni emesse in Italia dai tribunali per i minorenni. Tra le decisioni attribuite alla competenza funzionale di quest’organo, capaci di incidere sulla responsabilità genitoriale, vanno ricordate quelle di affidamento al servizio sociale, prese nell’ambito di un procedimento civile. Sono esclusi però tutti i “provvedimenti derivanti da illeciti penali”. Lo stabilisce l’ art. 1 comma 3 lett. g), scritto principalmente per gli ordinamenti di quei Paesi europei che per il minore autore di reato non prevedono necessariamente un intervento del giudice penale, ma attivano in varie forme il sistema dei servizi sociali. Ciò vale per i Paesi scandinavi e, in certa misura, per la vicina Francia.
Come si è detto, il Regolamento 2201/2003, entrato in vigore il 1° agosto di quest’anno, ha piena applicazione a partire dal 1° marzo 2005. C’è da augurarsi che il nostro legislatore riesca ad adeguarvi la nostra normativa, così da rendere meno ardua l’opera dell’interprete, e più agevole la piena e leale applicazione delle nuove disposizioni comunitarie. Le premesse tuttavia non sono incoraggianti. Infatti, l’applicazione della Convezione di Strasburgo 25.1.1996 sull’esercizio dei diritti dei minori (ratificata con legge 2003 n. 77) è stata fortemente limitata dal Governo a pochissime ipotesi secondarie, ed anche il d.d.l. 66/C sull’affidamento condiviso non prevede un diritto del minore ad essere ascoltato. In tal modo, le decisioni dei giudici italiani che abbiano trascurato l’ascolto del minore rischiano di non essere riconosciute in ambito comunitario.