Affido condiviso : per amore genitoriale o per forza della legge?
(l'intervento che di seguito viene presentato è stato tenuto dalla socia della Sezione di Trento e Bolzano Ilaria Bottanelli de Manincor , Psicologa, esperta in mediazione familiare, in occasione dell'assemblea del 29 novembre 2003)
La rottura della coppia coniugale e la conseguente decisione di separarsi sono eventi sicuramente dolorosi, ma eventi possibili , che richiedono tempo, una volta realizzato il venir meno del patto coniugale, per ridefinire le relazioni tra le persone coinvolte.
La separazione rientra tra le possibili trasformazioni dell’esperienza di vita di una coppia di adulti, processo complesso di riorganizzazione delle relazioni più intime, e della quotidianeità, in particolare se questi hanno figli. In tali situazioni agli adulti stessi è demandato di salvaguardare, ridefinendola, l’alleanza genitoriale, e non sempre questo avviene contemporaneamente alla rottura del patto coniugale.
Se la separazione diviene una dolorosa necessità, è necessario riflettere sulla diversità del dolore degli adulti rispetto a quello dei figli. Per i primi si tratta del fallimento di un progetto di vita, di convivenza, che ha aspetti sia relazionali- affettivi, che economici. Per i figli invece, c’è molto di questo, ma se la separazione dei genitori dilaga in conflitto senza fine esso diviene un attacco diretto alla propria sicurezza esistenziale, la messa in discussione di un bisogno/diritto a contare per crescere sulla protezione e cura di adulti direttamente coinvolti. Necessità che la nostra specie ha iscritto profondamente in ciascuno di noi da milioni di anni.
La presentazione di diversi progetti di legge nella scorsa e nella presente legislatura, ritirati o confluiti nei due testi unificati (Paniz) sembrano più scaturire da problemi di tutela dei diritti dei genitori, con il continuo richiamo ad interventi del giudice a dirimere, a sanzionare e decidere su aspetti che riguardano le relazioni più intime e delicate intorno alle scelte educative, ai tempi della cura e della quotidianeità di vita di adulti e bambini. Relazioni che per dare frutto hanno invece necessità di riservatezza e di genitori autorevoli, non infantilizzati da una delega ad una autorità superiore, giudice o stato che sia.
La guerra, ogni guerra, , non scompare purtroppo per legge. Non è parlando di “pace” che scompare la guerra, dice Fulvio Scaparro, non è usando gli aggettivi “congiunto” o “condiviso” che scompaiono le risse tra genitori. Questa sorta di “pensiero magico” ci riporta alle ingiunzioni paradossi del tipo “Siate felici! E’ un ordine!”
La possibilità di stabilire l’affido congiunto o alternato, prevista dalla legge 74 dell’86, ha oggi un’applicazione su valori che rimangono ben al di sotto del 5%. In effetti risulta di possibile attuazione per quelle coppie che sono state in grado di elaborare la separazione psicologica, o così centrate sulla condivisione dei compiti genitoriali da non trovarsi a dover ricontrattare responsabilità e distribuzione dei tempi di cura dei figli e tempi personali. Sono adulti che sanno controllare gli effetti distruttivi del conflitto, e sanno mantenere intatta la stima reciproca al di là del fallimento del progetto matrimoniale, o di motivi del contendere su aspetti patrimoniali. Capaci comunque di mantenere aperto quel canale di comunicazione, quel dialogo continuo sui figli, che permette ai figli stessi di muoversi tra l’ambiente materno e quello paterno sentendosi protetti da una continuità di pensiero.
In genere l’affido congiunto richiede messe a punto che adulti sensibili e non irrigiditi su posizioni preconcette, ma attenti a individuare l’evoluzione dei bisogni e delle capacità dei bambini e degli adulti, sono in grado di ridefinire con accordi chiari e condivisi.
E da dire che questa forma di accordo è più adeguata a famiglie separate con figli già abbastanza autonomi, forse è meno funzionale quando i bambini sono nella prima infanzia ed ancora hanno da stabilire un legame sicuro con il secondo genitore. Ma questo accordo genitori attenti lo possono considerare uno step successivo a cui mirare, con condizioni che mutano con il crescere dell’età e delle sicurezze dei figli, e con la verifica costante del loro buon adattamento
L’affido alternato è una possibilità residuale, sperimentabile se i genitori stabiliscono la propria residenza in altra città, o se hanno condizioni lavorative che permettono loro di occuparsi solo in determinati periodi dei figli, ma sono comunque coinvolti nella loro vita e mantengono contatti costruttivi con l’altro genitore.
Ma quando si arriva alla separazione coniugale in una situazione esacerbata, in cui il conflitto è dilagato fino ad in- vestire anche le relazioni genitoriali e le dinamiche tra genitori e figli, situazioni in cui i bambini sono testimoni spaventati di umiliazioni, violenze e perdita di rispetto per l’altro, la loro condizione diviene quella di ostaggi in balia della guerra degli adulti.
In queste separazioni non è immaginabile pensare ad un affido condiviso, come la proposta di legge sembra prevedere quando a richiederlo è solo uno dei genitori, divenendo questa possibilità una minaccia per l’altro. Se non si trovano modalità di accordo su ciò che è meglio per i bambini, l’affido condiviso può divenire un baratto sull’uso dell’abitazione coniugale, e sulla suddivisione del patrimonio o dell’impegno economico. O ancora può divenire una forma di controllo sull’altro genitore, impedendogli di stabilire una distanza necessaria per sottrarsi ad un conflitto senza fine.
E’ vero, ci sono anche madri che si arroccano nella difesa di un ruolo esclusivo come risarcimento magari all’amarezza di un abbandono, come scialuppa di salvataggio di una idea di sé vacillante di fronte al naufragio del matrimonio, o della convivenza. Ma non è con ingiunzioni del Tribunale che si possono sanare queste situazioni in cui il ricatto diviene reciproco. Non è con la logica del vincitore e del vinto che si può trovare una via d’uscita a queste separazioni conflittuali.
La proposta dell’affido condiviso su richiesta di un genitore rimane una contraddizione in termini, se non è nella sua realizzazione verificabile un mutamento delle relazioni tra padre e madre, con il ristabilimento di un dialogo intorno ai bisogni del figlio, o dei singoli figli. Ciò non può che implicare un accordo reciproco sull’impostazione educativa, unita al rispetto reciproco delle differenze che inevitabilmente si riscontrano all’interno di ogni coppia, ma che danno poi come esito la possibilità ad ogni figlio di riconoscersi un individuo unico.
Non posso che immaginare catastrofici gli esiti di decisioni avocate da un giudice, necessariamente estraneo alla vita di quella famiglia separata, di quei bambini, brevemente edotto da avvocati e genitori arrabbiati sulla storia separativa. Giudice al quale verrebbe richiesto di stabilire l’alternarsi di mamma e papà per colazione, pranzo, merenda cena e fiaba della buona notte. Per accompagnare Marco a equitazione, piuttosto che a lezione di tromba, o Martina al gruppo Scout, piuttosto che a trovare la zia di Verona. O ancora a stabilire che un genitore si occuperà delle dotazioni per le lezioni di vela, o equitazione a cui ha unilateralmente deciso di iscrivere i due figli, mentre l’altro genitore “si dovrà vendere le ossa” con un secondo lavoro il fine settimana per pagare l’affitto e il riscaldamento della casa in cui vive e per un complessivo numero di ore , pari a tre giorni e mezzo alla settimana, in cui si occupa dei figli e dei loro studi.
E’ vero ci sono molti padri separati che si trovano ad essere esclusi dalla vita quotidiana dei figli, o si vedono relegati ad essere il “padre della domenica”. Come ci sono padri che faticano a far quadrare il proprio bilancio personale per la partecipazione al mantenimento dei figli, ma questo dipende da un generale impoverimento di risorse in cui incorrono entrambi, sia uomo che donna, in primis in quanto necessaria la doppia abitazione. E in particolare per l’uomo c’è la perdita di quella parte di cura gratuita che veniva dalla convivenza, per come è ancora impostata nella maggior parte dei casi la suddivisione dei compiti nella coppia.
Ma non dimentichiamo che il 30% dei padri a due anni dalla separazione non contribuisce al loro mantenimento.
Spesso le leggi, in particolare quando vengono a regolare le relazioni tra le persone con i diritti ed i doveri inerenti, precorrono i tempi, come è stato per la revisione del nostro diritto di famiglia, nella quale si stabilisce, tra altri cambiamenti di non poco conto, la scomparsa della figura del capofamiglia, ponendo sullo stesso piano i due coniugi..
In questi ultimi decenni ci sono stati mutamenti nel modo di fare famiglia, di costruire e di vivere le relazioni di coppia, come cambiamenti innegabili ci sono stati nell’esperienza di essere madre, di essere padre. Con diversi equilibri nella cura dei bambini, per il maggiore coinvolgimento dei padri, volenti o nolenti a condividerne il compito, man mano che le giovani donne venivano assorbite dal mondo del lavoro, costrette da impellenze economiche ma anche dalla ricerca di una identità più complessa. Anche se rimane nel nostro paese una differenza sostanziale,rispetto ad altri paesi europei, per cui sono ancora molte le donne che una volta divenute madri scelgono, o devono scegliere, di investire meno sul piano della professionalità, per cui spesso poi giungono a lasciare presto il lavoro o addirittura a non riprenderlo quando nasce il secondo figlio.
Rimane comunque necessario recepire questa tendenza che trova riconoscimento anche dal richiamo agli stati membri, della Convenzione di NewYork, del 1989, sui diritti del minore nella situazione di separazione personale dei coniugi ad essere cresciuto ed educato da entrambi i genitori, quale diritto alla”bigenitorialità”
E ben venga che il concetto di “responsabilità genitoriale”, si sostituisca al concetto ormai superato e in sé limitato di “potestà genitoriale”.
Ma così come il Re Salomone aveva inteso esplicare l’impossibilità di dare una metà di un unico figlio a ciascuna delle due madri che se lo contendevano come proprio, non è proponibile che sia il giudice a distribuire pezzi di quotidianeità e di realtà di vita di un figlio tra due genitori travolti dal conflitto. Ciò alla luce di quanto oggi si conosce di come viene a formarsi la mente e la personalità del bambino nel suo farsi individuo, in un processo che parte dalla dipendenza, che richiama alla cura, passando per l’identificazione, possibile con chi si rende disponibile ad essere l’altro nella costruzione dei legami fondanti la capacità di amare, fino ai percorsi difficili e sempre più lunghi,dell’adolescente verso l’autonomia.
L’elemento tempo è indispensabile per riorganizzare la cogenitorialità, attraverso la ripresa della comunicazione, necessaria a bonificare il campo dove si svolge la guerra della vicenda coniugale, per salvaguardare gli aspetti fecondi di un patto che si chiude, spesso con tempi diversi di elaborazione del lutto.
I genitori possono essere invitati a trovare un’altra forma di patto condiviso nella costruzione di un progetto di co-responsabilità verso l’elemento più fragile. Questa è la proposta che fa la Mediazione familiare, da porsi in contesto extragiudiziario, che non deve divenire occasione per definire le capacità genitoriali, ma luogo e tempo riservato al padre e madre per riprendere il discorso intorno ai propri figli. In un lavoro di riconoscimento reciproco delle proprie capacità di genitore per una nuova organizzazione della quotidianeità in cui ci sia spazio e attenzione per i bisogni di piccoli e grandi.
Dott. Ilaria Bottanelli de Manincor