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Tribunale di Roma, ordinanza 8 agosto 2014 - Dichiara inammissibile la questione legittimità costituzionale dell’art 269 c.c. nella parte in cui prevede che la madre sia colei che partorisce il figlio, senza eccezioni(11.8.14)

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Autorità giudiziaria: Tribunale di Roma

Estensore: Albano

Tipo e data provvedimento: ordinanza 8 agosto 2014

Sommario:

Il caso riguarda due coppie che intendevano assumersi la responsabilità genitoriale su gemelli nascituri sulla base di due diversi titoli genitoriali, quello genetico e quello biologico, di chi ha portato avanti la gestazione, a seguito dello scambio di embrioni avvenuto presso l’ospedale. Nelle more del giudizio ex art. 700 c.p.c. la madre biologica ha portato a termne la gravidanza e sono nati i due bambini.

Il Tribunale ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art 269 c.c. nella parte in cui prevede che la madre sia colei che partorisce il figlio, senza eccezioni, dell’art 239 comma 1 c.c. nella parte in cui prevede la possibilità di reclamare lo stato di figlio solo in caso di supposizione di parto o sostituzione di neonato, dell’art 234 bis c.c. nella parte in cui viene limitata la legittimazione a proporre l’azione di disconoscimento di paternità, in relazione all’art 263 c.c. che invece prevede che l’azione possa essere proposta da chiunque vi abbia interesse, considerato non può più ragionevolmente ritenersi che il principio della verità genetica nei rapporti di filiazione sia sovraordinato rispetto agli altri interessi in conflitto.

Ricorda il Tribunale che tutte le più recenti pronunce dei giudici interni o europei che si sono trovate a dover dirimere interessi in conflitto relativi al rapporto di filiazione, sono fondate sulla valutazione del dato concreto del legame affettivo familiare ed hanno come punto di riferimento l’interesse del minore.

Inoltre, il legislatore italiano della riforma della filiazione (Legge n. 219/2012 e D.Lg.vo 154/2013), nel rivedere la disciplina delle azioni di disconoscimento di paternità e  di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità ha previsto un termine tombale di cinque anni per il loro esercizio, anche nei casi di sospensione previsti dalla legge, dando prevalenza all’interesse del minore alla stabilità del rapporto di filiazione ed a non recidere i legami familiari e di affetti che ne fondano l’identità, sulla verità genetica o biologica del rapporto di filiazione.

Aferma quindi il giudicante che il legislatore ha accolto il principio in base al quale la tutela del diritto allo status ed alla identità personale può non identificarsi con la prevalenza della verità genetica e che "il diritto della personalità costituito dal diritto all’identità appare inoltre sempre più sganciato dalla verità genetica della procreazione e sempre più legato al mondo degli affetti ed al vissuto della persona cresciuta ed accolta all’interno di una famiglia".

Ricorda in sintesi il Tribunale che "se è vero che la famiglia è sempre più intesa come comunità di affetti piuttosto che come istituzione posta a tutela di determinati valori, incentrata sul rapporto concreto che si instaura tra i suoi componenti, ne deriva che al diritto spetta di tutelare proprio quei rapporti, ricercando un equilibrio che permetta di bilanciare gli interessi in conflitto, avendo sempre come riferimento il prevalente interesse dei minori coinvolti".

 

Testo: vedi