L’operato del Tribunale per i Minorenni all’esame della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo
Con sentenza depositata il 9 maggio 2003. la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha respinto il ricorso (n.52763) presentato il 9 agosto 1999 dai genitori di quattro minori (allora di 12, 10, 8 e 5 anni) allontanati dal Tribunale per i Minorenni dell’Emilia Romagna con decreto provvisorio ed urgente in data 6 novembre 1998 per sospetti abusi sessuali intrafamiliari.
Il procedimento, sviluppatosi con l’audizione dei genitori all’udienza del 31 marzo 99, e con una nutrita attività difensiva ed istruttoria, si è concluso con la pronuncia di decadenza dalla potestà emessa dal Tribunale il 26 luglio 2000 e confermata dalla Corte d’Appello il 18 aprile 2001.
Nel frattempo il nonno e gli zii materni dei minori (unitamente ad altri coimputati per abusi anche ad altri minori) sono stati condannati definitivamente per abusi sessuali sui nipoti. In data 26 novembre 2002 la Cassazione ha confermato la sentenza 11 luglio 2001 della Corte d’Appello di Bologna che aveva inflitto ai parenti dei minori pene da 11 a 9 anni, escludendo tuttavia il loro coinvolgimento in riti satanici di gruppo, che invece la sentenza di primo grado aveva ritenuto provato. Anche i genitori sono stati condannati a dodici anni ciascuno per abusi ai danni dei loro figli con sentenza del Tribunale di Modena in data 24 settembre 2002.
Nel corso del procedimento minorile la difesa ha presentato un esposto contro i giudici del Tribunale per i Minorenni al Consiglio Superiore della Magistratura che lo ha respinto con delibera in data 26 gennaio 2000.
I genitori hanno fatto ricorso alla Corte Europea lamentando che gli interventi del TM avrebbero violato l’art.8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo firmata a Roma il 4/11/1950, in base al quale ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare che non può subire alcuna ingerenza a meno che sia “prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica è necessaria per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale o per la protezione della salute o della libertà degli altri”.
La Corte ha disatteso tutte le argomentazioni dei ricorrenti affermando che non vi è stata alcuna violazione dell’art.8 della Convenzione: la decisione è stata presa all’unanimità dai sette giudici sui punti 1, 3, 4, 5; da cinque giudici sul punto 2.
I passaggi essenziali della decisione possono essere come di seguito sintetizzati:
1. L’allontanamento urgente dei figli dai genitori ha costituito misura proporzionata e necessaria, in una società democratica, per la protezione della salute e dei diritti dei bambini.: il TM ne ha attentamente vagliato i presupposti, ritenendo che essi si trovassero in grave pericolo poiché i genitori non si erano accorti di quanto verosimilmente subivano quando li affidavano a parenti che erano risultati accusati di averli coinvolti in abusi.
2. La mancata audizione dei genitori da parte del Tribunale, prima di disporre l’allontanamento, è stata legittima poiché altrimenti la misura di tutela dei minori avrebbe potuto perdere la sua efficacia. Secondo la Corte il TM si era motivatamente convinto della necessità di allontanare subito i figli dai genitori a causa dei loro stretti rapporti con i parenti accusati di violenze e del clima di intimidazione che poteva derivarne in famiglia.
3. Le modalità di esecuzione dell’allontanamento sono state definite “brutali” dai ricorrenti, ma essi non hanno fornito alcuna prova di tale affermazione.
4. L’interruzione prolungata dei rapporti tra i genitori ed i figli è stata giustificata dalla preoccupazione del TM di tutelare il preminente interesse dei minori a fronte della diffidenza e del rifiuto di collaborare espressi dai genitori nei confronti sia dei servizi psicosociali che del Consulente incaricato dal Tribunale, i cui interventi (finalizzati a indagare la relazione figli genitori) se non impediti dai genitori avrebbero potuto anche consentire loro una ripresa dei rapporti.
5. La collocazione separata dei fratelli in diverse famiglie ha trovato fondamento nella difficoltà di trovare una sistemazione comune, nell’esigenza di assicurare a ciascuno un adeguato sostegno familiare e un livello di protezione particolarmente elevato, ma anche nell’accertamento che il loro rapporto era stato compromesso dalla gravità delle esperienze vissute in famiglia.
La Corte ha accolto il ricorso dei genitori su un solo punto, ritenendo che non sarebbe stata loro consentita una piena partecipazione alla decisione per i seguenti motivi.
• Essi sono stati convocati solo il 31 marzo 99, oltre quattro mesi dopo l’emissione del decreto di allontanamento dei figli; in questo periodo “non hanno potuto esercitare la minima influenza sull’esito della procedura poiché non potevano contestare la necessità dell’allontanamento o manifestare la loro opinione davanti ad un’autorità giudiziaria”. Diversamente da quanto sostenuto dal Governo italiano, tale lasso di tempo non era necessario per raccogliere gli elementi oggettivi dell’affare; la Corte osserva che la consulenza medico legale (nel procedimento penale n.d.r.) sui bambini era stata eseguita il 28 novembre 98 e che la relazione richiesta dal Tribunale era stata inviata dai servizi psicosociali il 9 marzo 99, con un ritardo di almeno due mesi rispetto al termine concesso.
• Inoltre è stato eccessivo il periodo di oltre 20 mesi tra l’allontanamento e la decisione definitiva di decadenza dalla potestà (in data 26 luglio 2000) durante il quale i genitori non hanno avuto modo di impugnare davanti ad un altro giudice le decisioni che (malgrado le sette istanze della loro difesa volte ad avere una pronuncia definitiva) sono sempre state rese dal Tribunale con decreti provvisori e quindi non impugnabili.
Sotto questo profilo la Corte ha deciso (con sei voti contro uno) che vi è stata violazione dell’art. 8 della convenzione “in ragione della non implicazione dei ricorrenti nel processo decisionale”. Ha infine ritenuto che la constatazione di tale violazione costituisca di per sé equo soddisfacimento per il danno morale subito dai ricorrenti.
La decisione di accogliere, sia pure nei suddetti termini molto limitati, il ricorso suscita non poche perplessità. La Corte ha ritenuto che i genitori non abbiano potuto difendersi davanti al Tribunale nel periodo tra l’allontanamento dei figli e l’udienza in cui sono stati sentiti. In realtà essi si sono subito avvalsi di difensori che hanno depositato tre memorie prima dell’udienza . Inoltre non è stato considerato che, pur avendo una propria autonomia, la procedura civile minorile doveva tener conto anche dello svolgersi parallelo dei procedimenti penali che si sono conclusi solo nel novembre 2002, con le condanne definitive dei parenti, e sono ancora in corso per quanto riguarda i genitori.
Rispetto all’unico punto del ricorso accolto appare interessante la “dissenting opinion” di uno dei giudici il quale, esprimendo voto contrario, ha rilevato che, pur condividendo il principio che ciascuno deve poter partecipare alle decisioni che concernono i suoi diritti, tuttavia, a fronte delle situazioni terribili e urgenti che caratterizzano i procedimenti in questione, a suo giudizio le autorità nazionali possono, meglio di una giurisdizione sovranazionale, apprezzare quali provvedimenti siano necessari per la sicurezza ed il benessere dei minori e trovare un giusto bilanciamento tra i loro interessi ed i diritti dei genitori. Nella materia minorile la Corte non dovrebbe quindi permettersi di criticare le autorità nazionali “a posteriori” se non allorchè vi siano elementi che dimostrino la loro negligenza o arbitrio, che nella specie mancano del tutto.
La decisione della Corte pone un problema reale, quello della opportunità di prevedere nel nostro procedimento minorile un sistema di impugnazione dei provvedimenti cautelari e della compatibilità di tale sistema con la necessità di evitare interlocuzioni di giudici diversi che potrebbero rendere ancora più lunghe e complesse le procedure.
Questo tema richiede una più lunga e approfondita trattazione che qui non trova spazio.
Resta da sottolineare un’ultima contraddizione che meriterebbe anch’essa un attento esame critico.
Mentre la Convenzione Europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli firmata a Strasburgo il 25 gennaio 1996 ribadisce che in ogni questione che lo concerne il minore deve essere sentito e deve poter essere rappresentato e difeso, un tale diritto gli viene misconosciuto proprio dalla stessa Corte Europea la quale ritiene che i genitori, per quanto decaduti dalla potestà, possano comunque rappresentare i loro figli e agire “nel loro interesse” per il solo fatto di essere genitori biologici. In questo senso, con motivazione sbrigativa, la Corte si è pronunciata con la decisione in data 24 gennaio 2002 sulla ricevibilità del ricorso in questione.