Una gran buona notizia dagli Stati Uniti.
di Giancristoforo Turri*
Il 1° marzo, la Corte Suprema ha dato lo stop alla pena di morte per chi ha commesso delitti da minorenne. Con cinque voti contro quattro è stata decretata la fine di un abominio che in quel pur grande e civile Paese aveva avuto inizio nel 1642 con l'esecuzione di Thomas Graunger, in Massachusetts. Dopo di lui, almeno 350 giovani che avevano commesso gravissimi reati da minorenni sono stati egualmente giustiziati.
Ad un’ottantina di ragazzi la sentenza della Corte Suprema risparmierà la vita. Evviva!
Gli Stati uniti si sono schiodati dall’abominevole elenco degli Stati nei quali la pena capitale è applicabile anche ai minorenni: Sudan, Filippine, Arabia Saudita, Nigeria (in questi ultimi due Paesi da molto tempo non si ha notizia di avvenute esecuzioni) e Iran, dove la legge approvata dal Parlamento sarebbe all’esame del Consiglio dei Guardiani. Il Paese guida ha seguito l’esempio recente di Pakistan, Yemen, Congo e Repubblica Popolare Cinese (dove, peraltro, nonostante l’abolizione, le esecuzioni contro i minorenni sarebbero proseguite, secondo notizie diffuse da Amnesty International).
Il plauso alla decisione della Corte Suprema è senza riserve.
Ed è ancora più sentito, perché cade in una stagione in cui l’avvitamento dello Stato americano – parzialmente condiviso da non pochi Paesi europei- in una spaventosa spirale repressiva aveva da tempo investito i minorenni, sistematicamente equiparati agli adulti nei giudizi per reati particolarmente gravi.
Né è sminuito dalla risicata maggioranza con cui alla decisione si è pervenuti. Tale dato ci deve soltanto fare riflettere, da un lato, sulle radici profonde che ha, in quella cultura, il sentimento favorevole ad una “giustizia” implacabile e, dall’altro lato, ci deve sollecitare ad essere pronti e solerti nel respingere iterazioni o ricadute in versioni vendicative della giustizia penale minorile.
*Procuratore della Repubblica T.M. Trento